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PDF Guida all'uso di Potest in formato PDF

Addio ai programmi di videoscrittura

Separare la scrittura dall’impaginazione

Le applicazioni più usate al computer sono i programmi di videoscrittura (tra quelli liberi LibreOffice Writer, AbiWord; tra quelli proprietari Word, TextMaker, Pages). Tuttavia, in molti casi essi risultano macchinosi e fragili. Qui presentiamo un’alternativa che è più adatta per scrivere in maniera efficiente testi strutturati (articoli, relazioni, tesi, libri) e per stamparli in maniera tipograficamente impeccabile. In particolare sono stati preparati alcuni formati per impaginare le tesi di laurea di Filosofia a Tor Vergata. Questo sistema è facile da usare, disponibile per i diversi sistemi operativi (GNU-Linux, OSX, Windows) e usa solo programmi gratuiti (e per la maggior parte liberi). Richiede però un piccolo investimento di apprendimento. Insomma, le istruzioni che seguono possono far guadagnare molte ore e mal di testa, ma almeno in parte devono essere lette.

Che c’è di male nei programmi di videoscrittura (word processors)? Quelli attuali si basano su un principio riassunto nella sigla inglese wysiwyg (what you see is what you get: ciò che vedi è ciò che ottieni). Esso significa che mentre si scrive viene mostrato sullo schermo esattamente ciò che si otterrebbe se si desse in quel momento il comando di stampa. Tale comportamento è indispensabile quando si devono produrre documenti con un’impaginazione variata ed elaborata (volantini, riviste illustrate), in cui testo e presentazione grafica fanno tutt’uno. Quando invece si devono scrivere testi con una semplice struttura logica (come articoli, relazioni, tesi ecc.), unificare il processo di scrittura del testo con quello della sua impaginazione è una cattiva idea: le due cose si disturbano a vicenda e diventano entrambe inutilmente complicate. Ciò è poi una pessima idea se (come oggi spesso accade) la destinazione finale non è (solo) la carta stampata, ma (anche) un sito internet o un libro elettronico. Per poter registrare insieme le due cose (il testo e il suo aspetto grafico) i programmi di videoscrittura usano infine un formato molto complicato, diverso per ogni programma e per ogni sua versione, a causa del quale la corruzione di un file è un evento frequente.

Po­test, il sistema che presentiamo, è invece nettamente distinto in due tappe: prima c’è la scrittura del testo, poi c’è la sua impaginazione. Durante la scrittura non ci si dovrà mai preoccupare degli aspetti estetici, anzi spesso li si potrà ignorare anche dopo (come un autore che consegna un dattiloscritto ad un editore non si deve interessare a come esso sarà sistemato graficamente). In questo modo si è concentrati sull’unica cosa che deve importare: il testo e le idee che si vogliono scrivere. Quando avrete finito di scrivere il vostro testo, sceglierete il formato finale (per esempio: uni-roma2-fil1) e in pochi secondi avrete il file PDF definitivo, pronto per essere stampato. Comodo, no?


Io non voglio leggere istruzioni. Voglio istallare un programma e cliccare a caso finché non viene fuori quello che desidero.

Peccato: ciò che viene qui presentato non fa allora per te. Prima di desistere sappi però che nel prossimo paragrafo è riassunto in mezza pagina ciò che basta per scrivere la maggioranza dei testi di carattere umanistico.


Se questa è la soluzione a tanti problemi, perché nessuno la usa e la conosce?

Attendete un po’ e la userà tutto il mondo! Non è comunque esatto dire che nessuno la usa e la conosce. Tutti gli ingegneri, i matematici, i fisici e i chimici (e gli editori che pubblicano in questi campi) usano fin dagli anni ’80 un sistema di concezione simile: TeX (pronuncia [ˈtɛk]) e le sue varianti. Esso è però ritagliato su misura per i loro bisogni (e la loro mentalità: un comune mortale fugge terrorizzato di fronte ai manuali). Un altro esempio: Wikipedia, che solo nella versione inglese contiene più di 33 milioni di pagine, è interamente scritta da migliaia di utenti con princìpi analoghi. Sistemi simili adatti agli usi umanistici si stanno cominciando a diffondere. Quello che qui presenteremo è uno di essi, pensato per il miglior compromesso tra semplicità e flessibilità.


Devo consegnare i miei testi in formato Word: non posso fare a meno di usare un programma di videoscrittura.

Errore! Con il metodo che presentiamo potrai produrre i testi nel formato che vuoi, anzi in maniera migliore rispetto a ciò che hai fatto finora.

Po­test in un minuto

Come usare Po­test? Lanciate il programma e scrivete, senza preoccuparvi dell’aspetto grafico (se i caratteri che vedete vi paiono troppo grandi o troppo piccoli, usate Ctrl+= e Ctrl+-). Seguite queste convenzioni:

Per stampare in bella il vostro testo, o trasformarlo in un altro formato, date il comando File > Esporta e scegliete dal menù.

Che cosa bisogna istallare

Po­test è un sistema di scrittura che richiede la presenza di diversi programmi (Textadept, Pandoc, Prince). Ma a partire dalla versione 1.0 beta 3 tutti sono raccolti in un unico istallatore. A meno che vogliate avventurarvi in esperimenti, non avete dunque bisogno di sapere che cosa avviene dietro le quinte al momento dell’istallazione.

Per visualizzare e stampare i file PDF che vengono generati da Po­test è necessario un lettore, che quasi sicuramente è già installato sul vostro computer. Nel caso utilizziate Windows, sappiate che esistono alternative molto più leggere che Adobe Reader:

Su quest’ultimo è basato anche il lettore integrato in Chrome/Chromium e nei navigatori derivati. Potreste quindi anche preferire usare il vostro navigatore per leggere e stampare i documenti PDF.


Ma allora Po­test è un assemblaggio di altri programmi!

No. Po­test si basa su tre programmi sopra indicati (e altri minori che non citiamo) e senza di essi non sarebbe stato possibile, ma li unisce in un insieme coerente e li adatta ad un uso umanistico tramite migliaia di linee di nuovo codice, regolarmente protetto da copyright (© 2016 Filosofia TorVergata) e rilasciato con licenza MIT.

Prima tappa: la scrittura del testo

Che cos’è un editor di testo

Un testo va anzitutto scritto. Ma come, se abbiamo detto che con questo procedimento non si usano i programmi di videoscrittura? Quando aprirete Po­test, vi troverete in un editor di testo: l’interfaccia è simile a quella di un programma di videoscrittura, ma contiene solo i comandi che modificano il semplice testo (tagliare, copiare, incollare, trovare, sostituire ecc.) e non quelli che servono a dargli un certo aspetto grafico (font, grandezza, colore, corsivo, neretto, tabelle ecc.). Unica cosa importante da ricordare: date ai vostri documenti l’estensione .md. Anzi, la cosa migliore quando si comincia un nuovo documento è registrarlo immediatamente (benché ancora completamente vuoto) con questa estensione (Po­test la aggiunge tacitamente se non ne indicate un’altra). Ulteriori indicazioni (non indispensabili ma molto utili) vengono date più avanti, nella sezione «Usare (bene) l’editor di Po­test».


Esistono moltissimi editor di testo! Posso utilizzare quello che preferisco?

Tutti gli editor di testo registrano i documenti nello stesso formato, chiamato (senza grande fantasia) «formato testo» (ufficialmente «text/plain»): dunque un documento scritto con Po­test potrà essere in caso di necessità letto e modificato con uno qualsiasi di essi. Tuttavia il sistema Po­test è strettamente integrato con il suo editor di testo (che è una versione adattata e modificata di Textadept), e nel seguito non verrà data nessuna istruzione su come usarne uno differente.


Che cos’è il «formato testo»?

Provate a scrivere la prima terzina della Divina Commedia con un editor di testo e controllate la grandezza del file risultante: sono un centinaio di byte, cioè esattamente il numero delle lettere e degli spazi, più i caratteri speciali che indicano la fine delle righe, e uno che indica la fine del file. Il formato testo è questo: un byte per ogni lettera (due o più per le lettere accentate e non latine) e pochissimo in più. È il formato più antico e universale, che è sempre rimasto identico e sicuramente sarà ancora interpretabile dai computer che esisteranno tra cent’anni.

Le convenzioni Mark­down

Un editor di testo consente dunque di inserire solo semplice testo. Ma come distinguere allora, per esempio, un titolo, o una nota a piè di pagina? Qui arriva in soccorso Mark­down, cioè un insieme di facili convenzioni che consentono di segnalare la struttura logica di un testo. In termini tecnici, Mark­down è un linguaggio leggero di marcatura. Qui di seguito mostriamo un testo scritto in Mark­down che per così dire spiega sé stesso (e coglie l’occasione per dare qualche consiglio di scrittura). Per essere più esatti di Mark­down presenteremo il dialetto usato dal sistema Po­test. Le spiegazioni vengono date grosso modo in ordine di importanza: all’inizio quelle che servono sempre, poi quelle che servono più raramente.

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autore: "Giovanni Salmeri"
titolo: "Come si usa Mark­down"
sottotitolo: "Una guida pratica"
relatore: "Aldo Manuzio"
correlatore: "Claude Garamond"
aa: "2015-16"
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## Come si scrivono l'intestazione e i titoli

Questo che state leggendo è un testo Mark­down! Nelle prime righe c'è l'intestazione nella forma tipica di una tesi di laurea. C'è poco da spiegare perché il significato è evidente. Si faccia solo attenzione a scrivere i *tre* trattini convenzionali all'inizio e alla fine e a scrivere le etichette in minuscolo. Le righe si possono scrivere in qualsiasi ordine e se manca un dato (per esempio sottotitolo o correlatore) si può omettere l'intera riga. In casi particolari possono essere necessarie voci aggiuntive (dopo ne vedremo un esempio). Le "virgolette diritte alte" che racchiudono i valori non sono sempre necessarie, ma per sicurezza è meglio usarle sempre. Per risparmiare tempo ed evitare errori, potete usare il comando *Modifica > Aggiungi l'intestazione* che inserisce automaticamente all'inizio del documento le etichette con le virgolette seguenti (vi sarà chiesto di scegliere il formato, perché ognuno di essi può avere etichette diverse, e a seconda del formato è possibile che venga mostrata una finestra con alcune istruzioni sulla compilazione delle etichette).

Dopo una riga vuota, abbiamo inserito un titolo di *secondo* livello (il primo livello è infatti rappresentato dall'intestazione): dunque *due* segni `#` seguiti da uno spazio. Così si può andare avanti con livelli successivi: in pratica, nel caso di una tesi, con due segni ## si indicheranno i capitoli, con tre ### i paragrafi, con quattro #### gli eventuali (poco consigliabili) sottoparagrafi. Al momento dell'impaginazione tutti i titoli saranno automaticamente numerati. I capitoli che hanno nomi speciali (cioè Prefazione, Introduzione, Abbreviazioni, Ringraziamenti, Conclusioni, Bibliografia, Riferimenti bibliografici) verranno però riconosciuti e lasciati senza numero. Approfittiamone per osservare che l'intero testo deve essere contenuto in un unico file (non un file per ciascun capitolo, insomma): nei computer attuali, in grado di gestire tranquillamente anche file enormi, non ci sono comunque buoni motivi per fare altrimenti.

Già si è compreso il principio di funzionamento di Mark­down: alcuni caratteri sono «speciali», hanno cioè un significato particolare quando si trovano in una certa posizione.

## Come si scrivono i capoversi

In Mark­down ogni capoverso dev'essere separato con (almeno) una riga vuota dal precedente e dal seguente. Questa stessa *importante* regola vale per tutti gli altri elementi analoghi che prenderemo in considerazione, e quindi non la ripeteremo. Detto in altro modo: un capoverso va terminato con *due* accapo. Questa convenzione rende più evidenti i capoversi e dunque aiuta anche a non abusarne: si tratta di qualcosa di analogo ad un segno di punteggiatura, che deve essere usato con parsimonia per distinguere le tappe in cui si articola il proprio discorso. In normali testi discorsivi, raramente un capoverso dovrebbe avere meno di una decina di righe.

Questo per esempio è un nuovo capoverso rispetto al precedente. Ovviamente al momento dell'impaginazione i capoversi saranno risistemati in maniera da adattarsi alla larghezza della pagina. Un avvertimento *importantissimo*: non cominciate mai un capoverso con un rientro (cioè con spazi o il carattere `Tab`)! In Mark­down esso ha un significato particolare (che non spieghiamo qui, perché in testi di carattere umanistico non serve), che sicuramente non sarebbe quello desiderato. Se il formato finale prescelto prevede che i paragrafi inizino con un rientro, questo sarà inserito automaticamente al momento dell'impaginazione.

Si faccia attenzione anche all'uso degli spazi: uno spazio va dopo ma non prima della maggior parte dei segni di punteggiatura (punto, virgola, due punti, punto e virgola, punto esclamativo, punto interrogativo, puntini di sospensione); parentesi e virgolette non devono mai essere divise con uno spazio dalle parole che includono; la lineetta vuole uno spazio prima e dopo, il trattino invece né prima né dopo. Ciò vale anche se si scrive in francese: le consuetudini tipografiche francesi (che prescrivono che uno spazio separi le virgolette da ciò che esse contengono e che esso preceda due punti, punto e virgola, punto esclamativo e interrogativo) saranno automaticamente rispettate al momento della composizione, dunque tali spazi non devono essere inseriti manualmente (anche perché confonderebbero il meccanismo delle virgolette tipografiche: vedi il paragrafo «Funzioni speciali di modifica»). Attenzione a distinguere la lineetta -- un utile segno di punteggiatura --, dal trattino (che si usa solo nelle parole composte, come austro-ungarico, e per separare i numeri, come 1915-18). La prima deve essere scritta con l'apposito carattere (vedi «Come inserire caratteri speciali dell'alfabeto latino») oppure, per comodità, con un *doppio* trattino che in fase di composizione verrà automaticamente trasformato in una lineetta.

## Come si mette in rilievo un'espressione

Spesso una parola o un'espressione dev'essere messa in rilievo (nel testo impaginato questo avverrà il più delle volte con un corsivo). Per esempio è abituale mettere in corsivo parole straniere e titoli di libri. Per farlo, basta includere la *parola* o l'*intera espressione* tra asterischi.

## Come si scrivono citazioni e versi

Una breve citazione, ovviamente, si mette tra virgolette. Usando il tasto `"` automaticamente verranno inserite le virgolette tipograficamente corrette (maggiori dettagli nella sezione «Funzioni speciali di modifica»). Non scrivete invece mai le virgolette a sergente come coppie di angoli <<, in Mark­down esse significano un'altra cosa! Citazioni più lunghe (o alle quali si voglia dare un grande risalto) si mettono invece in un capoverso a parte, segnalate con un carattere > all'inizio della riga:

> Questa è una citazione a blocco. Il carattere > è preso in prestito dai programmi di posta elettronica, che tradizionalmente lo usano con questo significato.
>
> Anche una citazione a blocco può contenere più capoversi: basta far precedere ogni riga (compresa quella vuota che separa i capoversi) dal segno >.

All'interno di una citazione capita abbastanza spesso di dover segnalare un'omissione: il modo più comune e consigliabile è questo: [...]. A volte bisogna inserire nel testo, o in una citazione, i versi di una poesia. Attenzione, perché un verso *non* è un capoverso a sé (per esempio in fase di stampa si potrebbe decidere di separare con un piccolo spazio ogni capoverso, ma non certo ogni verso di una poesia). Basta allora terminare ogni verso con un solo accapo:

Non è una bella poesia
ma è un modo per capire
che Mark­down è il più semplice
linguaggio che ci sia.

Nello stesso modo si può inserire un blocco di righe che non costituiscono veri e propri capoversi (per esempio un indirizzo).

## Come s'inserisce una nota

### Note interne

In un testo di genere umanistico spesso bisogna inserire note: sono quelle che nell'impaginazione finale andranno a piè di pagina (o, a seconda del formato scelto, a fine capitolo o documento o anche nei margini della pagina). È molto facile farlo.^[Questa per esempio è una breve nota.] Qui abbiamo inserito la nota *dopo* il segno di punteggiatura, anziché *prima* di esso: è la posizione consigliabile sia per praticità, sia per eleganza tipografica.

### Note esterne

Nell'esempio precedente, il testo della nota è inserito all'interno del testo normale. Esiste anche un altro modo per segnalarle, che è quello che usiamo in questo capoverso.[^nt2] I due modi sono interscambiabili e possono essere liberamente mescolati: al momento dell'impaginazione tutte le note, comunque siano state inserite, saranno numerate consecutivamente e impaginate correttamente.

[^nt2]: Questa è la nota richiamata nel capoverso precedente. L'identificativo (quello che compare dopo il segno `^`) è completamente arbitrario: può essere qualsiasi numero, una lettera, un'espressione più complessa composta di lettere e numeri. Solo dev'essere *identico* a quello inserito nel testo e non vi devono essere note che condividano lo stesso identificativo. Non ci sono invece vincoli su dove porre il testo della nota: si può mettere subito dopo il capoverso a cui si riferisce (come in questo caso), ma anche in qualsiasi altra posizione (per esempio alla fine del documento), purché scritto come un capoverso a sé: quindi preceduto e seguito da una riga bianca.

Finita la nota, qui ricomincia il testo normale. Quale dei due modi è preferibile? Dipende dai gusti: ognuno ha i suoi pregi (per esempio il primo potrebbe essere più comodo per inserire note brevi, il secondo per note più lunghe). Nell'editor ci sono comunque appositi comandi (*Strumenti > Uniforma le note > Dentro il testo* oppure *Fuori del testo*) per trasformarle tutte in un modo o nell'altro. Quando vengono uniformate fuori del testo sono poste tutte alla fine del documento e rinumerate (per spostarsi dalla nota al punto del riferimento sono allora utilissimi i comandi di ricerca rapida: vedi oltre «Metodi particolari di ricerca»). Si faccia solo attenzione al fatto che note esterne con un identificativo non presente nel testo verranno eliminate senza troppi complimenti. Vi sono comunque alcuni casi in cui l'una o l'altra forma è indispensabile: se si deve copiare in un documento un pezzo di un altro, è spesso indispensabile che le note di quest'ultimo siano prima uniformate all'interno (sia per copiare contemporaneamente al testo tutte e solo le sue note, sia per evitare conflitti tra le etichette); se si vuole fare una ricerca nelle sole note, bisogna prima uniformarle all'esterno e cominciare la ricerca all'inizio della prima di esse.

Si potrebbe obiettare che entrambi i modi per inserire una nota, per un motivo o per l'altro, non sono comodissimi. È vero, ma questo è un vantaggio! Prima di inserire una nota bisogna valutare se essa sia veramente giustificata: le informazioni necessarie per il filo del discorso devono andare nel testo, quelle inutili non devono esserci per nulla. Soli i pochi casi a metà strada (e ovviamente i riferimenti bibliografici) giustificano una nota. Un metodo non comodissimo svolge dunque un utile ruolo dissuasivo.

A questo punto, probabilmente ne sapete già abbastanza per scrivere la maggior parte dei vostri testi. Ciò che segue vi potrà essere utile in qualche occasione particolare.

## Come fare altri tipi di divisione

Abbiamo prima detto che il titolo di primo livello (con un solo #) non si usa perché esso è sostituito dall'intestazione. In realtà ciò non è del tutto vero: se si usa un titolo di primo livello esso sarà interpretato come l'indicazione di una *parte*: è una suddivisione superiore al capitolo che in qualche caso è utile, ma è consigliabile solo se il numero di capitoli è consistente. Se come nome di parte viene usato «Appendici» (o al singolare «Appendice»), tutte le seguenti suddivisioni di secondo livello verranno trattate appunto come appendici e contraddistinte da lettere dell'alfabeto.

*****

È anche possibile indicare uno stacco tra due capoversi o simili (reso a seconda dei formati con un piccolo spazio verticale, con una linea orizzontale o qualcosa di simile). Questo si indica, come abbiamo fatto qui sopra, con una riga di cinque o più asterischi, `*****`, preceduta e seguita da una riga vuota.

## Come si nasconde un capoverso dalla stampa

A volte può essere comodo segnalare che un capoverso non deve comparire per nulla nella stampa: si può trattare di un commento, di un appunto provvisorio, o di un passo che si vuole temporaneamente escludere. Questo si ottiene inserendo come primi due caratteri del capoverso `//`. Nel caso foste molto pigri, il comando `Ctrl+/` di Po­test inserisce i due caratteri al posto giusto.

## Come si scrive una firma

Se un capoverso viene introdotto da una lineetta su una riga a sé (che come abbiamo visto può essere scritta con un doppio trattino), verrà interpretato come una firma (nell'impaginazione finale allineato a destra, per esempio). È la stessa convenzione usata dai programmi di posta elettronica e in qualche caso può essere utile (per esempio alla fine di una prefazione o di un esergo). Una firma si scrive insomma così (notare l'*indispensabile* riga bianca prima della lineetta):

--
Immanuel Kant
Università di Königsberg

## Come si ottengono vari tipi di elenchi

È possibile usare vari tipi di elenchi. Anzitutto vi sono quelli non numerati, in cui ogni elemento si segnala con un segno `+` seguito da uno spazio:

+ Questo è il primo elemento...
+ ... questo il secondo...
    + Qui comincia invece un sottoelenco, con un primo elemento...
    + e un secondo.
+ e questo il terzo e ultimo!

Vi sono poi gli elenchi numerati, in cui bisogna semplicemente inserire il numero seguito da un punto e da uno spazio:

1. Questo è il primo elemento...
2. ... questo è il secondo...
4. e questo il terzo, anche se il numero scritto è 4!

Attenzione: al momento dell'impaginazione i numeri, se non sono consecutivi, verranno riassegnati, rispettando però quello di partenza. Nell'esempio precedente dunque il terzo elemento sarà effettivamente numerato come 3. (Ciò significa anche che, se si è pigri come un bradipo, si possono numerare tutti gli elementi come 1. e il risultato sarà identico: come si vedrà, nell'editor è però presente una funzione di modifica che numera automaticamente e consente dunque di essere pigri in maniera più elegante). Il segno @ (seguito anch'esso da un punto e da uno spazio) può essere infine utilizzato per numerare esempi o simili, consecutivamente attraverso l'intero documento. Per esempio:

@. Questo è il primo esempio
@. Questo è il secondo

Qui posso aggiungere spiegazioni. E ora posso continuare:

@. Questo è il terzo esempio, che sarà numerato come 3.

## Come s'inseriscono tabelle e immagini

In testi di genere umanistico tabelle e immagini sono abbastanza rare, ma ogni tanto sono utili. Per le tabelle diamo un semplice esempio:

| Stati       | Capitali |
|-------------|----------|
| Italia      | Roma     |
| Francia     | Parigi   |
| Regno Unito | Londra   |
| Spagna      | Madrid   |

: Capitali di alcuni Stati europei

La prima riga (opzionale) contiene le intestazioni delle colonne; la seconda riga (obbligatoria) introduce le caselle con i valori. Separata da una riga vuota e introdotta dai due punti seguiti da uno spazio, c'è la didascalia, opzionale ma sempre consigliabile. Si noti che nell'esempio precedente le barre verticali sono scritte allineate, ma non è necessario: in fase di impaginazione tutto sarà sistemato automaticamente. È buona norma comunque mettere un (solo) carattere `Tab` tra ogni casella e la successiva barra verticale.

Per inserire un'immagine basta invece scrivere un capoverso isolato così:

![Leonardo da Vinci, *Monna Lisa* (olio su tavola, 1503 circa)](gioconda.jpg)

Il file dell'immagine deve trovarsi nella stessa cartella (o in una sottocartella) del documento, il testo tra parentesi quadre sarà la didascalia. Per sicurezza è molto meglio usare l'apposito comando *Strumenti > inserisci immagine*, che controlla automaticamente questa e altre condizioni (lo stesso effetto si ottiene anche trascinando un'immagine dentro il testo). Po­test assume che le immagini abbiano una risoluzione per una stampa di buona qualità (in pratica, un'immagine che occupi la larghezza di una pagina A5 deve avere una dimensione orizzontale di almeno 1180 pixel).

Come le tabelle, così anche le immagini devono essere inserite solo quando sono necessarie, o almeno veramente utili: mai semplicemente per decorare il proprio lavoro. Si faccia comunque attenzione a sceglierle, o elaborarle, nella qualità migliore possibile (servizi come TinEye <http://tineye.com> sono utili per trovare versioni migliori di un'immagine). Regola facile: mai *ingrandire* un'immagine per farla giungere ad una dimensione opportuna nella stampa, perché se essa è troppo piccola vuol dire che è di qualità troppo bassa per essere usata. Nel caso si preveda di stampare in bianco e nero, è meglio trasformare prima in bianco e nero le eventuali immagini, in maniera da valutare se il contrasto è adatto ed eventualmente aggiustarlo con un programma di grafica, evitando così sorprese al momento della stampa. Se non ne usate già abitualmente uno, gThumb <https://wiki.gnome.org/Apps/gthumb> (per GNU-Linux) o IrfanView <http://www.irfanview.com/> (per Windows) o Pixlr <https://pixlr.com/express/> (che si usa direttamente in rete) fanno tutto l'essenziale.

Dato che Po­test suppone che l'uso delle tabelle o immagini sia occasionale, queste non vengono automaticamente numerate, né vengono generati appositi indici. Si tenga però presente che esse sono in ogni caso «galleggianti»: qualora cioè non vi sia sufficiente spazio per impaginarle nel punto in cui sono scritte nel testo, vengono rimandate all'inizio della pagina successiva, facendo continuare il testo. Non è dunque una buona idea terminare il capoverso precedente con un'espressione del tipo «come si vede in questa tabella:» oppure usare scrivere «nell'immagine in questa pagina».

## Come s'inseriscono indirizzi Internet

Gli indirizzi Internet si scrivono ponendoli tra angoli, per esempio così: <http://mondodomani.org/associazione/> e <associazione@mondodomani.org>. In questo modo saranno creati automaticamente i collegamenti nel documento
finale (per esempio PDF) e nell'editor si potrà utilizzare il comando *Ricerca > Vai al collegamento*. Per un documento destinato ad essere stampato, questa probabilmente è l'unica maniera di scrivere un indirizzo che servirà. Se invece si vuole collegare un'espressione ad un indirizzo si deve usare una sintassi simile a quella delle immagini (omettendo solo il punto esclamativo iniziale), per esempio: l'[Associazione MondoDomani](http://mondodomani.org/associazione/) è bellissima! Ma attenzione: in questo modo l'indirizzo Internet non comparirà nella stampa. Si osservi infine che nel menù di *Ricerca* è presente anche un comando per abbreviare un indirizzo Internet tramite il servizio <http://tinyurl.com>, cosa molto comoda quando si vuole evitare di inserire nel testo indirizzi lunghi e antiestetici.

## Come si scrive una dedica o un esergo

Se vi state chiedendo se è opportuno aggiungere al vostro lavoro una dedica o un esergo, la risposta è molto probabilmente no. Se ciononostante siete convinti del contrario, una dedica si segnala con una riga nell'intestazione (vedi «Come si scrivono l'intestazione e i titoli»), per esempio:

dedica: "Al Corso di laurea in Filosofia di Tor Vergata\n che con questo sistema di scrittura\n mi ha fatto risparmiare tanto tempo"

Si osservi che se ci sono accapo (come nell'esempio precedente) essi s'indicano con la sequenza `\n` e l'intera dedica va racchiusa tra "virgolette alte diritte". Al momento dell'impaginazione la commovente dedica sarà automaticamente composta in una posizione adeguata. Un esergo è invece nient'altro che una citazione lunga e come tale va scritto (introdotto dunque da >): subito dopo l'intestazione se riguarda l'intero lavoro, subito dopo il titolo di un capitolo se riguarda quest'ultimo. L'autore della citazione s'indica con una firma (eventualmente seguita dal titolo dell'opera da cui è tratta). Se l'esergo si trova all'inizio di un capitolo, è opportuno creare un piccolo stacco aggiuntivo dopo la citazione (vedi «Come fare altri tipi di divisione»).

## Come si scrivono formule

Se bisogna includere espressioni logiche, matematiche, chimiche o di altro tipo, alcune altre convenzioni possono essere utili. Per esempio, questa è un'**espressione in forte rilievo** (abitualmente stampata in neretto, da non usare mai nel testo corrente). Un esponente si scrive invece così: 4^2^ = 16 (utile anche per rivolgersi correttamente a M^lle^ Dupont). Un deponente così: H~2~O. Per barrare una parola si fa ~~cosà~~ così. Il significato speciale di un carattere si annulla in questo modo: \*questo testo non è in rilievo, ma posto tra asterischi\* (e la barra invertita a sua volta si scrive così \\). Si ricordi infine che Unicode comprende tutti i simboli matematici e logici (per esempio ℕℚℝℂ∀∃∣∈∉∧∨⊂⊃→, esponenti e deponenti precomposti ecc.), anche se non tutti i font ne sono provvisti. Se servono formule matematiche tipograficamente elaborate (per esempio frazioni, radici, integrali), bisogna utilizzare la notazione AsciiMath, che è in fase di prova e sarà supportata prossimamente.

Qui termina il nostro testo di esempio. Riassumiamo in una tabella il significato dei caratteri speciali che abbiamo descritto. Per comodità, abbiamo messo in rilievo quelli più comuni, che bastano per scrivere la stragrande maggioranza dei testi di carattere umanistico: sei in tutto! Nella terza colonna abbiamo inoltre segnalato se la convenzione fa parte di quelle originarie di Mark­down (allora la casella è vuota), se è una estensione di Pandoc oppure se è una estensione di Po­test. Potete tranquillamente ignorare quest’ultima informazione, ma se un domani vi servisse sapete dove trovarla.

Carattere Significato Estensione?
--- Inizio e fine intestazione Pandoc
# Titolo
> Citazione
[^id]: Nota fuori del testo Pandoc
- Elenco
1. Elenco numerato
@. Elenco di esempi Pandoc
\| Tabella Pandoc
![ ]( ) Immagine
-- Firma Po­test
// Commento Po­test
* Rilievo
^[ ] Nota dentro il testo Pandoc
< > Indirizzo Pandoc
[ ]( ) Collegamento
^ Esponente Pandoc
~ Deponente Pandoc
** Forte rilievo
~~ Testo barrato Pandoc

Una tabella simile è mostrata anche dal comando Aiuto > Promemoria Mark­down di Po­test. Una volta che si è presa l’abitudine, scrivere con queste convenzioni è più semplice e veloce che usare i comandi di un programma di videoscrittura. Neppure da confrontare poi la facilità con cui è possibile, per esempio, ritrovare un titolo o una citazione (basta cercare nel testo il carattere speciale corrispondente).


Ho capito! Quindi per esempio se voglio che i titoli siano in neretto e in maiuscolo devo scrivere ## **TITOLO DEL CAPITOLO**, giusto?

No, sbagliato. Devi in ogni caso scrivere solo ## Titolo del capitolo. Il modo in cui un titolo (o qualsiasi altra parte del testo) deve comparire al momento dell’impaginazione (neretto, colorato, maiuscolo, con un font diverso, in rilievo, fosforescente, profumato) riguarda il formato di stampa, del quale ci occuperemo dopo.


Mark­down è dunque tutto qui?

No: abbiamo omesso 1. alcune caratteristiche più avanzate e comunque non indispensabili, 2. altre che sono utili solo in testi di carattere scientifico, 3. e infine alcune che (a nostro modesto avviso) complicano la vita senza apportare reali vantaggi. Inoltre, quando in Mark­down vi sono più modi equivalenti per ottenere lo stesso risultato, ne abbiamo descritto in genere solo uno (in omaggio a Guglielmo da Occam). Per una descrizione completa si può consultare il manuale di Pandoc.


Come faccio a controllare che nel mio testo non ci siano errori nella sintassi di Mark­down?

Anche se può sembrare strano, in Mark­down non possono esistere «errori di sintassi»: qualsiasi combinazione di caratteri non rientri in quelle che hanno un significato speciale viene interpretata letteralmente ed è quindi parimenti corretta. Per esempio, una coppia di asterischi serve per mettere in rilievo un’espressione, ma un asterisco isolato non è sbagliato: è semplicemente un asterisco (anche se, come abbiamo visto, in questo caso è molto meglio scrivere \*). Ovviamente può essere che tu non abbia scritto i caratteri speciali che significano ciò che volevi: di questo te ne accorgerai al momento dell’impaginazione. Ma sono casi rarissimi: le convenzioni di Mark­down sono così semplici che è difficile sbagliarsi.


Non riesco a trovare alcuni caratteri nella tastiera: come li inserisco?

Alcuni caratteri, che pure sono di uso frequente in alcuni contesti, non compaiono direttamente nelle tastiere. Ovviamente è sempre possibile usare la «mappa caratteri», ma tutti i caratteri che abbiamo prima nominato si ottengono anche con veloci combinazioni, purtroppo diverse a seconda del sistema operativo e della tastiera nazionale che si usa. Nella tabella seguente è indicato come si ottengono alcuni caratteri nella tastiera italiana (le combinazioni Ctrl+_ e Ctrl+' sono peculiari di Po­test).

Carattere GNU-Linux OSX Windows
Parentesi quadra [ AltGr+è Alt+é AltGr+è
Parentesi quadra ] AltGr++ Alt++ AltGr++
Parentesi graffa { Maiusc+AltGr+è Maiusc+Alt+é Maiusc+AltGr+è
Parentesi graffa } Maiusc+AltGr++ Maiusc+Alt++ Maiusc+AltGr++
Tilde ~ AltGr+ì Alt+5 Ctrl+_
Accento grave ` AltGr+' Alt+\ Ctrl+'

Ho un documento in formato .doc / .docx / .rtf / .odt: come posso trasformarlo in Mark­down?

Se lo scopo è riutilizzarne una piccola parte all’interno di un testo Mark­down e si ha il programma di videoscrittura per aprirlo, spesso la cosa più semplice è copiare e incollare. Tutta la formattazione sarà eliminata, ma in genere non è una gran perdita (le uniche cose da ristabilire saranno i corsivi e le note). Si faccia solo attenzione ad eliminare tutti gli eventuali caratteri Tab che dovessero esserci all’inizio dei capoversi, e a separare questi stessi con una riga bianca. Se invece si vuole trasformare l’intero documento senza perdere la formattazione, il comando File > Importa .docx o .tex fa esattamente questo e mette il risultato in una scheda nuova (anche con più file alla volta). A meno che nel documento originario siano stati usati accuratamente gli «stili», anche in questo caso si dovrà però aggiustare il risultato (è dunque una cattiva idea imparare le convenzioni Mark­down importando testi .docx e osservando che cosa ne viene!). Come dice il nome del comando, questa importazione si può però effettuare solo da documenti in formato .docx o .tex (più esattamente LaTeX). Se si ha un documento in formato .doc, .rtf o .odt lo si dovrà prima trasformare in .docx, con un programma di videoscrittura o con un servizio in rete: Online-convert http://document.online-convert.com/convert-to-docx, Docx2doc http://www.docx2doc.com/converters/-to-docx, Zamzar http://www.zamzar.com.

Seconda tappa: l’impaginazione del testo

Se il testo che avete scritto serve solo a voi, il lavoro è finito. Il lavoro è ovviamente finito anche se dovete consegnare il testo a qualcuno che ve lo chiede in formato Mark­down, o dovete farlo leggere a qualcuno che non si ostina a volerlo nel formato di un programma di videoscrittura (tutti i computer hanno istallato almeno un semplicissimo editor di testo, dunque tutti dovrebbero essere in grado di leggere ciò che avete scritto).

Se invece dovete stamparlo in bella copia, o consegnarlo a qualcuno (la direzione di una rivista o un editore, per esempio) che lo desidera in un formato di videoscrittura, o dovete pubblicarlo in rete (dunque in HTML), manca l’ultimo comando: File > Esporta. Dal menù scegliete poi il formato che desiderate. Dopo qualche secondo un messaggio vi avvertirà che la generazione del nuovo file è terminata. Fatto!

Una piccola nota legale importante. I PDF ottenuti in questo modo possono essere usati solo per scopi personali e non commerciali: per esempio per una tesi di laurea, o per un testo da distribuire gratuitamente in formato elettronico. Se invece lo si vuole usare per impaginare libri che saranno messi in vendita, è necessario acquistare un’appropriata licenza di uso di Prince http://www.princexml.com.

Se infine volete una brutta copia di ciò che avete scritto, senza formattazione (inclusi dunque i caratteri speciali di Mark­down così come li avete scritti), Po­test contiene una funzione di stampa sulla stampante predefinita: il comando è File > Stampa in bozza. Se è selezionata una parte, sarà stampata solo questa.


Una volta che ho generato un file .docx posso modificarlo come voglio con un programma di videoscrittura, giusto?

Non è un reato. Però bisogna prima riflettere a che cosa si sta facendo. In genere la cosa logica è intervenire sul testo Mark­down e poi generare di nuovo il file .docx, altrimenti il file principale Mark­down diventerà obsoleto e inutile.


Nel PDF a volte una riga viene spezzata in un punto inopportuno, per esempio «Carlo / V». Come faccio a rimediare?

Basta scrivere gli spazi dove non si vuole che la riga venga spezzata come «spazi non separabili», che vengono mostrati come spazi su fondo invertito: per inserirli basta usare la combinazione Ctrl+[spazio]. Ovviamente, sarebbe bene che gli spazi non separabili fossero inseriti preventivamente, senza attendere che un difetto di impaginazione ne manifesti la necessità. Questo espediente può servire anche per impedire che siano malamente spezzati titoli di sezione troppo lunghi per una riga. Sequenze di spazi non separabili possono inoltre servire per aggiungere, come accade soprattutto nella poesia contemporanea, un rientro ad alcuni versi (spazi normali o caratteri Tab non ottengono quest’effetto).


Nel PDF alcune parole straniere in fin di riga sono spezzate male. Come faccio a correggere?

Quando nel PDF si nota un errore di questo tipo bisogna indicare manualmente nel testo markdown i punti di divisione, che vengono mostrati con un puntino mediano su fondo invertito: per inserirli basta usare la combinazione Ctrl+.. Ciò può servire anche per le parole italiane in cui si preferisce una divisione etimologica, per esempio «trans- / atlantico» anziché «tran- / satlantico». (Nel caso che abbiate questo dubbio atroce: no, con il sistema indicato non si riescono purtroppo a risolvere i casi in cui, come nell’ortografia tedesca prima della riforma del 1996 e in quelle ungherese e catalana, certe spezzature in fin di riga alterano l’ortografia delle parole.) È comunque anche vero che in questo campo il concetto di «errore» è sfumato: nessuno per esempio si scandalizzerà se nel vostro testo italiano vedrà spezzato in fin di riga demo-cracy, anzi probabilmente nessuno si accorgerà che è sbagliato.


Come faccio a modificare il formato grafico finale?

I formati grafici predefiniti non sono fatti per essere modificati: prendere o lasciare. Peraltro, un formato grafico deriva dall’equilibrio delicato di cento cose differenti, e modificarne solo una il più delle volte porta ad un cattivo risultato. I formati predefiniti tra cui scegliere comunque aumenteranno in futuro e sarà anche previsto un sistema (relativamente) semplice per definire da zero nuovi formati.


La stampa in bozza è brutta!

Infatti è una brutta copia. Ma è più utile di quanto all’inizio sembri.


Uso un sistema GNU-Linux (oppure OSX) e la stampa in brutta copia non mi funziona. Che cosa devo fare?

La causa più probabile è che il comando di stampa del sistema operativo (lpr) non sappia quale stampante usare. Se nel vostro sistema operativo avete istallato una sola stampante, basta dare da terminale il comando lpoptions -d $(lpstat -a | awk 'NR==1 {print $1}') (fate un «taglia e incolla» per evitare errori). Altrimenti date prima il comando lpstat -a, verificate nell’elenco quale sia la stampante che volete usare, e poi date il comando prima indicato, sostituendo però nell’espressione NR==1 il numero d’ordine della stampante voluta (per esempio, se è la terza dell’elenco scrivete NR==3).

Usare (bene) l’editor di Po­test

L’editor di testo del sistema Po­test ha tutto ciò che può servire per scrivere agevolmente i propri testi ed è stato adattato con una configurazione particolarmente adatta agli usi umanistici. Le sue funzioni di base sono simili a quelle di qualsiasi programma di videoscrittura. Se volete usarlo al meglio vi conviene però conoscere alcune funzioni aggiuntive, e altre comuni ma poco conosciute. Potete avere alcune sintetiche istruzioni con il comando Aiuto > Sommario dei comandi, ma di seguito spieghiamo meglio ciò che è più utile.

Evidenziazione della sintassi

Iniziamo da una funzione per la quale non bisogna imparare nulla, perché è normalmente attivata e si nota fin dal primo uso: l’«evidenziazione della sintassi». Essa consiste nel fatto che mentre si scrive i diversi costrutti Mark­down vengono mostrati con stili grafici differenti per renderli più facilmente distinguibili (per esempio, i titoli in neretto, le citazioni in un colore diverso ecc.). Si tratta dunque di una via di mezzo tra una presentazione wysiswyg e una completamente spoglia. Si osservi tuttavia che essa è solo un aiuto, non un controllo rigoroso: per esempio, un elemento di lista o una citazione a blocco vengono evidenziate, ma le parole tra asterischi al loro interno non vengono mostrate in corsivo (ma nella stampa in bella saranno poste in corsivo). Un’avvertenza: affinché l’evidenziazione avvenga, è necessario che l’editor sappia dall’estensione del file che si tratta di un testo Mark­down e non di altro tipo: per questo abbiamo prima consigliato di registrare immediatamente con l’estensione .md il testo che si sta cominciando a scrivere. Tipica di Po­test è poi una leggera evidenziazione del capoverso in cui si trova il cursore, che aiuta a mantenere l’attenzione su ciò su cui si sta lavorando.

Completamento automatico e abbreviazioni

Normalmente attivato è anche il completamento automatico. Mentre si scrive, viene costantemente mostrato un piccolo menù che suggerisce i possibili completamenti della parola che si sta scrivendo (dalla terza lettera in poi per non distrarre troppo), sulla base delle parole già presenti nel testo. Il complemento desiderato si può selezionare con Tab, oppure si può continuare a scrivere ignorando il menù (in altre parole: se non volete usare questa funzione non dovete far nulla, basta scrivere normalmente). Ciò è utile soprattutto se in testo bisogna scrivere più volte un nome un po’ complicato (per esempio se si parla del concetto di Weltanschauung). Se questa funzione vi disturba potete disabilitarla nelle Preferenze (vedi «Personalizzare Po­test»): in tal caso potete sempre attivarla, nei singoli casi in cui vi serve, con il comando Ctrl+[Invio] (che serve pure per mostrare i completamenti quando si sono scritte solo una o due lettere).

Di scopo simile al completamento automatico sono le abbreviazioni, che si possono definire con il comando Strumenti > Abbreviazioni (per esempio: IK = Immanuel Kant): al momento della scrittura vengono espanse battendo il tasto Tab subito dopo l’abbreviazione stessa. È possibile definire sia abbreviazioni generali sia abbreviazioni specifiche per una lingua. Si noti che un’abbreviazione ha la precedenza sul completamento automatico, se sono possibili entrambi (nell’esempio precedente: se esistesse già nel testo una parola che inizia per IK).

Notiamo infine che quando si scrive una parentesi aperta (di qualsiasi tipo), Po­test aggiunge automaticamente quella chiusa: ciò non sempre fa propriamente risparmiare battute, ma aiuta a non lasciare parentesi in sospeso.

Movimento e selezione

Un salto di qualità decisivo nell’uso di un editor di testo (anzi in generale del computer) avviene quando lo si impara ad utilizzare esclusivamente con la tastiera, senza mai toccare il mouse (o dispositivi analoghi): tutte le operazioni diventano molto più veloci. Per esempio, qualsiasi comando presente nei menù può essere eseguito con la sola tastiera: premendo il tasto Alt viene mostrata con una sottolineatura (quando esiste) la lettera che bisogna premere per selezionare ogni voce; alla sua destra è inoltre scritta (quando esiste) la «scorciatoia» per eseguire direttamente quel comando (per esempio, un documento può essere registrato sia con Alt+F+S sia con Ctrl+S).

Ma l’uso della tastiera è un enorme vantaggio anzitutto per i comandi di movimento e selezione, simili in quasi tutti gli editor di testo e i programmi di videoscrittura. Nella tabella seguente sono riassunti i sedici comandi di movimento, i quali diventano tutti comandi di selezione quando combinati con Maiusc, e i quattro comandi di spostamento rapido.

Tasti di movimento e spostamento in Po­test
Tasti semplice Ctrl+tasto Alt+tasto
/ un carattere a destra / sinistra una parola a destra / sinistra sposta la parola o selezione a destra / sinistra
/ una riga in alto / basso un capoverso in alto / in basso sposta la riga o selezione in alto / in basso
Pag↑ / Pag↓ uno schermo in alto / basso inizio / fine capoverso
Inizio / Fine inizio / fine riga inizio / fine documento

La posizione dei tasti di movimento è sempre eguale nelle tastiere dei computer da scrivania (quelle con normalmente 105 tasti), ma non nelle tastiere dei computer portatili, che devono fare economia di spazio. In queste spesso alcuni tasti si ottengono con un ulteriore tasto di modifica Fn (per esempio, Pag↑ può essere Fn+↑: un comando di selezione può quindi richiedere la contemporanea pressione di quattro tasti!). A seconda delle marche e dei modelli vi sono soluzioni diverse e usare una tastiera mal concepita o (soprattutto) passare da una disposizione all’altra può notevolmente rallentare la scrittura: lo si tenga presente quando si sceglie un computer portatile.

Per spostarsi nel testo potete anche usare «segnalibri», indicati con una piccola barra a sinistra della riga, ed «evidenziazioni», indicate con un fondo colorato. Si ricordi che mentre le evidenziazioni vengono memorizzate nel documento stesso, i segnalibri lo sono nella cosiddetta «sessione»: in pratica, vengono persi quando si chiude il documento. I relativi gruppi di comandi (identici per le due funzioni) si trovano nel menù Strumenti. Per essere più rapidi: senza bisogno di selezionare nulla, il comando di evidenziazione opera sulla parola o sulla selezione in cui si trova il cursore. Notate che, diversamente dall’omonima funzione esistente spesso nei programmi di videoscrittura, le evidenziazioni (oltre ovviamente ai segnalibri) riguardano qui soltanto il modo in cui il testo viene mostrato all’interno del programma: non compaiono quindi in nessun modo nella stampa.


Alcune scorciatoie non mi funzionano. Come mai?

Evidentemente il vostro sistema operativo intercetta quella combinazione di tasti per darle un altro significato. Non c’è nessun modo per Po­test (anzi, per nessun programma) di accorgersene e rimediare da sé, o anche solo avvisare. In particolare: se usate un sistema GNU-Linux, è possibile che diverse combinazioni siano usate (senza che ve ne siate mai resi conto) dal gestore di finestre: nelle impostazioni del sistema operativo potete eliminare tutte quelle che non vi servono, per permettere a Po­test di utilizzarle. Avete comunque l’alternativa delle combinazioni Alt+[lettera], che il sistema operativo lascia sempre libere.

Metodi particolari di ricerca

Una delle funzioni più utili durante la scrittura è la ricerca e sostituzione e nel pannello di ricerca si possono scegliere alcune opzioni di significato evidente. Attiriamo solo l’attenzione su qualche particolare. Il comando Sostituisci tutto agisce su una selezione se essa c’è, altrimenti sull’intero testo (ma l’opzione Tutte le schede estende in ogni caso la sostituzione agli interi testi). Infine le «espressioni regolari» (regex) servono per effettuare ricerche e sostituzioni nelle sequenze che rispondono ad un certo modello: raramente questa funzione serve per i testi abituali, ma in qualche caso salva la vita (per esempio quando si opera su lunghe liste di dati). I magici dettagli sono spiegati nell’appendice «Le espressioni regolari».

In Po­test vi sono anche delle varianti di ricerca che possono essere molto comode. Una prima variante è la funzione della ricerca rapida: con i comandi Ricerca > Prossima [Precedente] Parola uguale (scorciatoie Ctrl+Alt+← e Ctrl+Alt+→ in GNU-Linux e OSX, Maiusc+Alt+← e Maiusc+Alt+→ in Windows) il cursore si sposterà immediatamente sull’occorrenza seguente o precedente della parola in cui si trova il cursore (o della sequenza selezionata) e contemporaneamente saranno evidenziate tutte le occorrenze nel documento (per eliminare le evidenziazioni basta premere Esc). Una seconda variante è Ricerca > Cerca in modo incrementale (scorciatoia Ctrl+Alt+F): man mano che si scrive la sequenza di ricerca il cursore si sposta immediatamente sulla prima occorrenza dei caratteri fino ad allora scritti (il che significa che normalmente basta scrivere pochi caratteri per trovare subito ciò che si desidera: là ci si può fermare con Esc). Molto comoda è anche la ricerca della parentesi corrispondente: se ci si trova prima di una parentesi, per spostarsi a quella corrispondente (aperta o chiusa) basta la scorciatoia Ctrl+M (e, analogamente agli altri comandi di movimento, Maiusc+Ctrl+M seleziona l’intero testo racchiuso tra parentesi).

Vi è infine un metodo di ricerca alquanto esoterico, operato con Ricerca > Filtra ed elimina le linee e Ricerca > Filtra e sostituisci nelle linee. Per chi è abituato a Unix e affini basta dire che corrisponde a grep. Per l’ignaro resto del mondo, due parole di spiegazione: esso consiste nel cercare globalmente (o nella selezione se essa c’è) una sequenza di caratteri e contestualmente (1) eliminare tutte le righe in cui essa compare o non compare, oppure (2) effettuare una sostituzione globale in tutte le righe in cui essa compare o non compare. Tutte le sequenze sono in questi comandi espressioni regolari (per le quali vedi l’appendice sopra citata), le altre opzioni di ricerca vengono ereditate dall’ultimo normale comando di ricerca che è stato effettuato.


Aiuto, mi si è capovolto lo schermo!

Vuol dire che in Windows avete inavvertitamente premuto una combinazione di tasti Ctrl+Alt+[freccia]. Premete Ctrl+Alt+↑ per ritornare all’orientamento normale. Se non vi capita spesso di lavorare a testa in giù, potete disabilitare una volta per tutte queste combinazioni di tasti (per esempio con un clic destro sul desktop, Opzioni grafiche > Tasti di scelta rapida > Disattivare).

Modi diversi di vedere il testo

In Po­test si trova una semplicissima ma utile «vista di struttura», che si ottiene con il comando Vista > Struttura (scorciatoia Maiusc+Ctrl+H). In essa vengono mostrati solo i titoli che appunto strutturano il testo: in questo modo si ha la possibilità sia di muoversi rapidamente da un punto all’altro, sia di valutare la struttura del proprio lavoro, che è spesso uno degli aspetti più importanti. In questo caso si tratta di una «vista» in senso stretto: quando è attiva il testo non può essere modificato. Per ritornare alla vista normale, basta dare di nuovo lo stesso comando Maiusc+Ctrl+H. Analoga a questo è il comando Vista > Solo commenti che mostra invece (ovviamente) solo i commenti inseriti nel testo, cioè i capoversi che iniziano con i due caratteri //. Se volete ingrandire o rimpiccolire la dimensione del carattere mostrato sullo schermo, potete usare gli stessi comandi normalmente dedicati a ciò nei navigatori: cioè Ctrl+= e Ctrl+-. (Ma se volete modificare stabilmente la grandezza e forse anche il font, seguite le indicazioni del paragrafo «Personalizzare Po­test».) Per conoscere poi le statistiche del testo (e, nel caso vi sia, della selezione) basta dare il comando Vista > Statistiche (scorciatoia Maiusc+Ctrl+I): oltre ai normali di caratteri, di parole e di linee non vuote vengono mostrati anche il numero di pagine (considerando per queste ultime una dimensione standard di 1800 caratteri) e il tempo medio di lettura (utile quando si scrivono testi da presentare in pubblico: quest’ultimo viene calcolato in maniera leggermente diversa a seconda della lingua selezionata).

Altri comandi del menù Vista sono poi destinati a dividere lo schermo in due parti autonome, in ciascuna delle quali può diventare corrente una qualsiasi scheda: in questo modo si possono avere sotto gli occhi contemporaneamente due parti dello stesso documento, o due documenti. Attenzione: le linguette non spostano quindi il cursore da una vista all’altra (ciò che si fa con il comando Vista > Cambia vista), ma per cambiare il contenuto della vista in cui si trova il cursore! Quando nelle due viste sono poste due versioni di un documento, il comando Confronta evidenzia temporaneamente le loro differenze (modifiche, aggiunte e cancellazioni). Nel caso non vi siano già due viste con due documenti, viene chiesto di sceglierli in quel momento. Per muoversi rapidamente da una differenza all’altra si possono usare i comandi Strumenti > Evidenziazione > Evidenziazione seguente / precedente. La funzione di confronto è particolarmente utile quando si deve collaborare con altri alla stesura di un documento. Si osservi che chi rivede un testo non deve quindi attivare nessuna modalità particolare in Po­test: sarà invece chi lo riceve indietro che può (nel caso voglia rendersi conto delle modifiche, ed eventualmente decidere di ognuna se accettarla o no) confrontare la versione originale e quella modificata.

Se infine volete immergervi completamente nel testo che state scrivendo senza rischio di distrazioni (almeno quelle che provengono dal computer: per quelle che provengono da famigliari, amici e colleghi i rimedi sono più difficili), il comando Schermo intero (scorciatoia F11) eliminerà temporaneamente tutti gli elementi di interfaccia. Dato che così anche i menù scompaiono, i comandi potranno essere dati solo tramite le relative scorciatoie. Per ritornare alla visualizzazione normale, basta dare una seconda volta lo stesso comando.

Gestione degli appunti

Una funzione utilissima per la scrittura non è inclusa negli editor perché compete al sistema operativo: il gestore di appunti (clipboard manager). Esso memorizza tutti i più recenti appunti «copiati» o «tagliati», e non solo l’ultimo di essi: è quindi possibile con una combinazione di tasti particolare scegliere tra essi quando si tratta di «incollare». La funzione spetta evidentemente al sistema operativo perché le operazioni di «taglia, copia e incolla» avvengono al suo livello, tant’è vero che gli appunti possono essere scambiati tra tutti i programmi. Stranamente, però, in genere nei sistemi operativi il gestore di appunti non è previsto come standard: conviene dunque istallarne subito uno. I migliori sono anche i più semplici: per esempio Parcellite http://parcellite.sourceforge.net/ per GNU-Linux, Jumpcut http://jumpcut.sourceforge.net/ per OSX, CLCL http://www.nakka.com/soft/clcl/index_eng.html per Windows. Quando si comincerà ad usarlo non si potrà più farne a meno.

Funzioni speciali di modifica

Funzioni speciali di modifica si trovano nel menù Modifica: il loro significato è in genere trasparente e non c’è quindi bisogno di spiegarle. Alcune importanti funzioni dipendono dalla lingua: quella normalmente usata si specifica nelle Preferenze (e viene automaticamente applicata ai documenti Markdown quando vengono aperti), ma per ogni scheda è possibile indicarne una diversa nel menù Strumenti > Lingua. Po­test riconosce una quarantina di lingue differenti: ma per non affollare il menù con lingue che non vi serviranno mai, quelle che devono comparire si possono decidere nelle Preferenze. La prima voce è sempre ASCII, con la quale sono disabilitate le funzioni dipendenti dalla lingua.

Tra le funzioni dipendenti dalla lingua vi è l’inserimento delle virgolette tipograficamente corrette tramite il normale tasto ". In genere tutto è automatico e non avete bisogno di sapere nulla, ma se l’argomento «virgolette nel mondo» vi appassiona potete continuare a leggere questo capoverso. Ogni lingua ha in proposito norme diverse e Po­test inserirà le virgolette, aperte o chiuse, di primo o di secondo livello (cioè le «virgolette “dentro” le virgolette»), secondo le corrette norme tradizionali. Infine alcune note particolari per l’italiano e il francese. Per quanto riguarda l’italiano: Po­test non offre nessun supporto per usare esplicitamente i diversi tipi di virgolette attribuendo loro significati distinti, ma piuttosto segue (in omaggio a Gertrude Stein) il principio «le virgolette sono virgolette sono virgolette sono virgolette», che è quello tradizionale italiano. Se ci si vuole allontanare da questo saggio criterio (per esempio per rispettare le norme barocche di parecchi editori: «le virgolette ad angolo significano questo, quelle alte quest’altro»), si può però usare il sistema indicato nella sezione «Come inserire caratteri speciali dell’alfabeto latino». Per quanto riguarda il francese: le norme tradizionali non distinguono tra virgolette di primo e di secondo livello (e inoltre due paia di virgolette chiuse consecutive dovrebbero essere collassate in uno solo paio); nel francese del Canada è però normale distinguerle, come in italiano. Si noti infine che l’apostrofo viene invece sempre lasciato nel testo con la forma tipograficamente non corretta: ci sono buoni motivi, ma niente paura, al momento dell’impaginazione verrà trasformato nella forma giusta.

Anche il comando Modifica > Linee > Ordina le linee (scorciatoia Maiusc+Ctrl+C) dipende dalla lingua. Come sopra, nel caso ardiate dal desiderio di saperne di più potete continuare a leggere questo capoverso. Benché apparentemente banale, l’ordinamento alfabetico è una delle operazioni più intricate che si possano fare su un testo: sia perché molti casi sono poco definiti (come ci si deve regolare quando sono presenti numeri o simboli? o quando bisogna ordinare insieme parole scritte con alfabeti diversi?), sia perché molte lingue alterano la sequenza alfabetica latina (per esempio inserendo lettere con diacritici o digrammi considerati come lettere a sé), sia perché ogni lingua definisce regole per mettere in ordine le proprie parole ma raramente quelle altrui, sia perché in alcune lingue esistono norme diverse a seconda degli usi (per esempio per i dizionari o per gli elenchi telefonici). Come se la cava Po­test in questa selva selvaggia? Bene, molto bene. È in grado di ordinare correttamente in tutte le lingue europee previste, rispettando le loro consuetudini: saranno rarissimi i casi in cui si dovrà intervenire manualmente (per esempio per mettere «Pio V» prima di «Pio IX»). Un’avvertenza per l’ungherese: in questo caso Po­test fa quello che può, perché qui le complicate regole dell’ordinamento alfabetico presuppongono che si sappia come si pronuncia la parola nel caso di combinazioni di lettere ambigue. In caso di necessità, per disambiguare basterà un punto di divisione con Ctrl+. (per esempio un punto di divisione tra le prime due n della sequenza «nny» segnalerà che essa non va interpretata come una doppia «ny»).

Una nota su un comando che fa in realtà più di quanto promette: si tratta di Modifica > Linee > Numera le linee. Esso numera sì le linee, ma rispettando in più l’eventuale numero di partenza che dovesse trovare nella prima linea, e sostituendo tutti gli altri eventuali numeri seguenti; se la prima linea porta il segno + degli elenchi non numerati, le linee successive verranno uniformate in tal senso. Si noti infine che gli elenchi nidificati sono gestiti correttamente. Come è facile immaginare, il comando simmetrico Modifica > Linee > Denumera le linee può servire dunque anche per eliminare i segni degli elenchi non numerati (con tante scuse all’Accademia della Crusca, per il poco italiano verbo «denumerare»).

Di poche spiegazioni ha bisogno il controllo ortografico. Si noterà solo che essa è di uso più semplice rispetto ad altri programmi: il comando Strumenti > Controllo ortografico > Prossima parola non riconosciuta (scorciatoia F7) sposta il cursore sulla successiva parola non riconosciuta e mostra in un unico piccolo menù i comandi disponibili e i suggerimenti di correzione (la voce desiderata si può selezionare con il tasto Tab, come per il completamento automatico, o anche con Invio). Per controllare l’intero documento basta ripetere questo comando fino a quando non vengano più segnalate parole dubbie. Per sottolineare in una scheda tutte le parole non riconosciute (i cui suggerimenti possono essere poi mostrati con F7 o anche con un doppio click) bisogna invece dare il comando Segna le parole non riconosciute (scorciatoia Ctrl+F7); per eliminare le sottolineature basta premere Esc. Nel caso il proprio testo contenesse al proprio interno citazioni in una lingua diversa, si può impostare temporaneamente questa seconda lingua per effettuare il controllo; nel caso poi questa seconda lingua usi un alfabeto differente (per esempio: citazioni in greco in un testo in italiano), tutto è più facile perché il correttore ortografico riconoscerà automaticamente quali parole appartengono a ciascuna delle due lingue e ignorerà dunque quella dell’altra. Una nota speciale infine (di nuovo) per la lingua francese: come è noto, la riforma ortografica del 1990 ha raccomandato, ma non imposto, la modifica di qualche migliaio di parole. Quale norma segue Po­test? Liberté et égalité! Selezionando la lingua francese viene usato un dizionario classico (che accetta l’ortografia tradizionale e solo nei casi maggiormente entrati nell’uso anche quella nuova, per esempio évènement accanto al tradizionale événement); selezionando invece la lingua francese del Canada viene usato un dizionario che accetta solo la nuova ortografia: preparatevi allora, per esempio, all’emozione di scrivere ognon anziché oignon. L’assegnazione dei dizionari alle due varianti nazionali è in Po­test convenzionale, ma non arbitraria, perché la riforma ortografica ha effettivamente avuto più seguito fuori della Francia. Per quanto riguarda tedesco, inglese e portoghese, la situazione è invece chiara: per il primo le recenti riforme (1996 e 2006) sono state vincolanti, per gli altri due esistono consuetudini diverse a seconda delle varianti nazionali. Si ricordi comunque che il controllo ortografico non è infallibile e non elimina la necessità di rileggere attentamente ciò che si è scritto.

Citiamo infine alcuni comandi di modifica che possono tornare utili se ci si abitua. Per esempio c’è il comando per mettere tra parentesi un passo: basta selezionarlo e premere il tipo di parentesi (aperta) desiderata insieme ad Alt. Si noti anche il comando per calcolare: basta scrivere un’espressione matematica, selezionarla e battere il tasto = per averla sostituita con il risultato. Si possono anche scrivere più espressioni separate da una virgola e calcolarle in una volta sola. Il più delle volte saranno sufficienti le quattro operazioni (+ - * /), ma tutti i dettagli sono spiegati nell’appendice «La funzione di calcolo».

Modifica di tabelle

In una tabella è banale aggiungere, eliminare, spostare righe, perché queste sono normali linee di testo. Per fare le stesse operazioni sulle colonne, basta che selezioniate la tabella e diate il comando Strumenti > Scambia righe e colonne: a questo punto le colonne saranno appunto diventate righe (in termini matematici viene effettuata una «trasposizione di matrice») e potete fare facilmente le modifiche che desiderate. Quando avete finito, date una seconda volta il comando Strumenti > Scambia righe e colonne. Fatto!

Qualora usiate questo comando per cambiare stabilmente l’orientamento di una tabella (cosa che in qualche rara circostanza può essere utile), ricordatevi di eliminare l’originaria riga di introduzione (la prima o la seconda) e di inserire quella nuova. Avendo un modo facile per spostare le colonne, si può infine anche ordinare una tabella secondo qualsiasi colonna: basta metterla temporaneamente come prima e dare il normale comando Modifica > Ordina le linee.

Proteggere un documento con una parola d’ordine

Il comando Strumenti > Cifratura protegge un vostro segretissimo documento in modo che esso possa essere letto solo dopo aver indicato la parola d’ordine specificata (nell’interfaccia un simbolo prima del nome del file ve lo ricorderà). Con il medesimo comando si può modificare una parola d’ordine esistente, o eliminarla (lasciandola vuota). Si osservi che il documento così protetto mantiene l’estensione .md e sostituisce quello in chiaro.

Po­test usa il più avanzato metodo di crittografia oggi disponibile (AES), ma come qualsiasi altro esso è vanificato da una parola d’ordine troppo breve o banale. Si tenga d’altra parte presente che una parola d’ordine dimenticata non può essere recuperata in nessun modo: in tal caso Po­test porterà il suo segreto nella tomba. È importante quindi che usiate una parola d’ordine che nessun altro possa indovinare (niente qwerty o 12345 o nome del/la fidanzato/a), ma che voi possiate facilmente ritrovare (per esempio avendola scritta in luogo sicuro diverso dal computer, o avendola memorizzata in un apposito programma di gestione delle parole d’ordine).

Gestire il proprio tempo

Il comando Strumenti > Gestione del tempo serve ad intervallare regolarmente il lavoro con pause: un messaggio ricorderà quando è il momento di fermarsi e un piccolo segnale sonoro quando è tempo di riprendere. Lo scopo è evitare che un lavoro troppo lungo senza interruzioni danneggi la concentrazione o stanchi le mani o gli occhi. I tempi esatti possono essere stabiliti nelle Preferenze, ma quelli predefiniti sono ragionevoli e allineati sulla cosiddetta «tecnica del pomodoro»: 25 minuti di lavoro e 5 minuti di pausa; dopo tre pause brevi, inoltre, una pausa più lunga di 20 minuti. Nelle Preferenze potete anche decidere di far partire automaticamente la gestione del tempo all’apertura di Po­test. Un simbolo accanto al nome di Po­test nel titolo della finestra vi ricorda comunque che la funzione è attiva. Qualora usiate un sistema simile nel sistema operativo, quello interno di Po­test è ovviamente superfluo e potete ignorarlo.

Personalizzare Po­test

Po­test è già adattato alla scrittura di testi di carattere umanistico. Secondo le abitudini e i gusti personali si possono però avere preferenze diverse. Per impostarle, il comando Modifica > Preferenze (o in Windows Strumenti > Preferenze) aprirà un documento in cui potrete modificare una ventina di caratteristiche. Un consiglio: non abbiate fretta nell’eliminare proprietà che all’inizio vi disturbano, tutte sono utili e può valere la pena abituarvisi. Ricordate inoltre che dovrete trovare ciò che è più comodo sullo schermo, che è una cosa completamente indipendente da ciò che apparirà sulla carta stampata (scrivere su un fondo scuro per esempio è percepito da alcuni meno faticoso per gli occhi, oltre che più benevolo nei confronti delle batterie dei computer portatili).

Caratteri non latini o speciali

L’inserimento dei caratteri (siano essi latini o di altri alfabeti) è in generale gestito dal sistema operativo. Po­test però include anche un metodo proprio per i gli alfabeti non latini, il più semplice possibile e adattato in modo particolare alle necessità di testi umanistici. Attualmente esso è programmato per i caratteri latini speciali, gli alfabeti greco e cirillico, i caratteri IPA. Il meccanismo è sempre lo stesso: si scrive secondo una codifica che usa solo i caratteri latini di base (se possibile sono state scelte codifiche già usuali), si seleziona il testo da trasformare, e si applica il comando che si trova in Modifica > Modifica la selezione (le scorciatoie sono tutte Ctrl+[numero], o in OSX Command+[numero]). Un avvertimento generale: dato che, come si vedrà, le varie parentesi aperte e chiuse sono usate con un significato convenzionale in questi metodi d’inserimento, chi li usa spesso probabilmente preferirà eliminare nelle Preferenze l’aggiunta automatica della parentesi chiusa, che in questi casi è d’impaccio.

Nel caso si debbano inserire uno o più caratteri Unicode arbitrari che non rientrano nei casi che ora descriveremo, vi è la scorciatoia tuttofare Ctrl+^ (o Command+^): con essa è possibile inserire i caratteri tramite il loro codice numerico esadecimale, preceduto come d’abitudine da U+. Per esempio scrivendo e selezionando U+9053 e dando il comando Ctrl+^ si avrà l’ideogramma cinese del Dao. Si possono scrivere e trasformare insieme anche più codici di seguito (per esempio U+9053U+5FB7U+7D93) ed è consentito omettere in ogni caso gli zeri non significativi (per esempio si può scrivere U+A4 anziché U+00A4). I caratteri Unicode finora definiti sono più di 128 000: una tabella abbastanza facile da consultare si può trovare all’indirizzo http://unicode-table.com/.

Come inserire caratteri speciali dell’alfabeto latino

Le tastiere nazionali permettono di inserire facilmente i caratteri usuali in una certa lingua, ma quasi mai quelli speciali di altre lingue che pur usano l’alfabeto latino (o quelli speciali usati per traslitterare alfabeti non latini). Po­test permette di inserire facilmente qualsiasi carattere speciale: scrivetelo tra parentesi quadre nella codifica Bi (che ora spiegheremo), selezionatelo e date il comando Ctrl+1. Fatto!

La codifica Bi, ideata per Po­test, è ispirata alla codifica Beta (rappresenta nello stesso modo gli accenti) e alla funzione Compose di Xorg (il sistema grafico usato da GNU-Linux, che con un sistema analogo riconosce più di 5000 sequenze). Po­test riconosce circa 500 sequenze, la maggior parte delle quali sono costituite da due caratteri, di cui uno indica il segno diacritico da apporre sull’altro. Gli esempi seguenti sono sufficienti per la maggior parte dei casi:

à á â ã ä å ā ă ą ǎ ȧ ạ ả ơ ő
a\ a/ a= a~ a+ ao a-- a- (a a< a. .a a? o) o//

Si noti che i segni diacritici sottoscritti sono codificati da un segno scritto prima del carattere da modificare. In molti casi vengono anche riconosciute composizioni di più segni diacritici. Qualche esempio:

ǟ ǭ ȭ ḕ ḝ ṏ
a+-- ,o-- o~-- e--\ ;e- o~+

Ecco altri casi (comprendenti anche alcuni segni di punteggiatura), in cui due caratteri vengono combinati in uno solo (in tal caso si scrivono collegandole con un apostrofo), oppure altre sequenze vengono interpretate in modo speciale:

æ œ ø İ ı ñ ŋ ð þ đ ħ ł ij ß ţ ț
a'e o'e /o I. i. n~ n'g d'h t'h /d /h /l i'j s's ;t ,t

« » “ ” ‘’ … · • ¡ ¿ § © ª º
<< >> <" "> <' '> ... .- .= !! ?? S! C! a! o!

Come nelle altre codifiche, ` è il carattere di divisione. Nel caso si voglia applicare il comando Ctrl+1 ad intere parole o anche a passi più estesi, il carattere di divisione andrà usato spesso per evitare trasformazioni errate. Vengono infine riconosciute queste sequenze per caratteri aritmetici (per lo più corrispondono alla codifica AsciiMath preceduta da \):

± × ⋅ ÷ − ≠ ≤ ≥ ½ ⅓ ⅔ ¼ ¾ ⅕ ⅖ ⅗ ⅘ ← →
\+- \xx \* \-: \- \!= \<= \>= \1/2 \1/3 \2/3 \1/4 \3/4 \1/5 \2/5 \3/5 \4/5 \<- \->

Si faccia attenzione ai dettagli. Per esempio: in francese non si scrive quasi in nessuna parola oe, ma œ = o'e; il segno che su d l t in ceco e slovacco viene scritto come un apostrofo in realtà è un haček, quindi: ď ľ ť = d< l< t<; in romeno e in lettone si usa la virgola sottoscritta ģ ķ ļ ș ț = ,g ,k ,l ,s ,t e non la cedilla ş ţ = ;s ;t; in catalano la elle doppia l·l si inserisce con l'l (al momento dell’esportazione Po­test sceglierà il carattere che consente una resa tipografica corretta); il segno matematico della sottrazione = \- non è il trattino - (a meno che stiate scrivendo del codice informatico, ovviamente), né tanto meno il segno della moltiplicazione × = \xx è la lettera x; il carattere dell’ordinale maschile: il 5º volume = il 5o! volume non è quello del grado: la temperatura era di 28°. Un avvertimento comune a tutte le lingue che usano l’alfabeto latino: le maiuscole, malgrado consuetudini contrarie derivanti da limiti tipografici ormai superati, devono essere accentate esattamente come le minuscole; in italiano l’unico caso normale accade con È = E\, in altre lingue sono molto più frequenti: per esempio Álvaro o Étienne (unica dubbia eccezione: le convenzioni tipografiche vigenti in Svizzera per il francese, che tuttavia contrastano con quanto prescritto dall’Académie française).

Come inserire caratteri greci

Se conoscete già la codifica Beta, le istruzioni sono telegrafiche: scrivete la parola o il testo in Beta (nella variante Perseus), selezionatelo e date il comando Ctrl+2. Fatto!

Se non la conoscete, serve qualche istruzione in più. Beta (o Beta Code) è una codifica sviluppata per rappresentare in maniera accurata il greco antico (inclusi i suoi segni diacritici) usando soltanto i caratteri «latini di base» (quelli cioè presenti su qualsiasi tastiera). Il principio è semplice: ogni lettera dell’alfabeto greco corrisponde ad una lettera dell’alfabeto latino; ogni segno diacritico corrisponde ad un segno di punteggiatura. Questa è l’equivalenza tra alfabeto greco e latino:

α β γ δ ε ζ η θ ι κ λ μ ν ξ ο π ρ σ τ υ φ χ ψ ω
a b g d e z h q i k l m n c o p r s t u f x y w

Nella maggior parte dei casi la corrispondenza è evidente; laddove manca una lettera equivalente, la corrispondenza si basa sulla somiglianza della forma (questo è il caso di q, c, y, w). Attenzione al sigma: il comando Ctrl+1 distingue correttamente il sigma finale purché esso sia seguito da un segno di punteggiatura, da un accapo o da uno spazio (insomma, se dovete trasformare una parola isolata che termina in sigma, selezionate anche lo spazio seguente); se si preferisce indicare in maniera esplicita la distinzione, s2 o j è il sigma finale. Per i segni diacritici, la corrispondenza si basa sulla somiglianza della forma (facciamo gli esempi perlopiù con la lettera α):

ἀ ἁ ά ὰ ᾶ ϋ ᾳ
a) a( a/ a\ a= u+ a|

Come si vede, il segno corrispondente al diacritico dev’essere scritto dopo la lettera su cui va posto. Se bisogna combinare più segni diacritici, essi vanno posti nell’ordine (logico) in cui sono stati ora presentati: spirito, accento, dieresi, iota sottoscritta (per esempio a(=|). Gli altri segni (o anche i precedenti quando si trovano in una posizione in cui non sono interpretabili come diacritici) vengono lasciati come sono da Ctrl+1 (eccettuati i due punti che vengono trasformati nel punto in alto).

La versione originale di Beta (quella usata nel Thesaurus Linguae Grecae) ha inoltre le seguenti particolarità: le lettere latine sono scritte sempre in maiuscolo; quelle che devono essere maiuscole in greco devono essere precedute da un asterisco; in tal caso i relativi segni diacritici si scrivono tra l’asterisco e la lettera. La versione di Beta usata da Perseus (un’enorme banca dati di testi classici, all’indirizzo http://www.perseus.tufts.edu/) è uguale, ma usa solo le lettere latine minuscole. La versione usata in Po­test è quella di Perseus; in più permette però di indicare le maiuscole greche anche nel modo più facile: cioè con maiuscole latine e senza cambiare la posizione dei diacritici. Insomma: Po­test capirà praticamente tutto quello che scrivete; ma se fate un «copia e incolla» dal Thesaurus ricordate di mettere prima tutto in minuscolo (con il comando Modifica > Modifica la selezione > Metti in minuscolo, ovviamente) e poi trasformare con Ctrl+2.

Nel caso vi servissero, Po­test interpreta anche altre piccole particolarità della codifica Beta: il carattere di divisione ` (serve per separare due caratteri, per esempio per impedire che una parentesi venga interpretata come spirito se adiacente ad una vocale) e i seguenti codici per apici e lettere arcaiche usate come segni numerici (nell’elenco indichiamo il nome delle lettere):

segno delle unità, segno delle migliaia, digamma, stigma, qoppa arcaico, qoppa, sampi
# #22 v #2 #3 #1 #5

Come inserire caratteri cirillici

Il metodo è simile a quello del greco: scrivete la parola o il testo nella codifica Buky, selezionatelo e date il comando Ctrl+3. Fatto!

La codifica Buky, che in mancanza di una convenzione adatta alla bisogna è stata ideata per Po­test, è contemporaneamente ispirata alla codifica Beta (usa solo i caratteri latini di base), alla «traslitterazione scientifica» (segue il più possibile il sistema più diffuso per trascrivere i caratteri cirillici, basato sull’alfabeto ceco), alla traslitterazione ISO 9:1995 (comprende i caratteri di tutte le lingue slave e codifica ognuno allo stesso modo, indipendentemente dal suono che esso rappresenta nella lingua in cui è usata). La corrispondenza, per l’alfabeto russo moderno, è in conclusione la seguente:

а б в г д е ж з и й к л м н о п р с т у ф х ц ч ш щ ъ ы ь э ю я
a b v g d e zh z i j k l m n o p r s t u f kh c ch sh shch " y ' e= ju ja

Come si vede, diversamente da Beta, alcune lettere sono indicate da una sequenza di due o più lettere o altri segni. Mancano in compenso quasi del tutto segni diacritici: l’unico riconosciuto è l’accento acuto (/), che non è usato nella scrittura normale ma può servire in contesti grammaticali.

Oltre che per il russo moderno, l’alfabeto cirillico è usato per numerose altre lingue. Ecco le lettere aggiuntive necessarie per il russo nell’ortografia pre-1918 e per le altre lingue slave:

ѣ ѳ ѵ ѐ ё ђ ѓ є ѕ і ї ј љ њ ћ ќ ѝ ў џ ґ
e+ f+ y+ e\ jo dj= g/ je z+ i+ ji j= lj= nj= c/ k/ i\ w dzh g=

Per una scrittura accurata di antico slavo e slavo ecclesiastico, vi sono invece diversi intricati problemi riguardo ai segni diacritici, non tutti ancora risolti da Unicode. Ecco comunque le lettere aggiuntive necessarie (nell’elenco indichiamo il nome delle lettere):

omega, e iotizzata, a iotizzata, piccola jus, piccola jus iotizzata, grande jus, grande jus iotizzata, ksi, psi, omega bella, ot, koppa, segno dei numeri, segno delle migliaia
o+ ja+ je+ e~ o~ je~ jo~ ks+ ps+ o!+ ot+ q+ # #M

Per ricordare facilmente le corrispondenze basta tenere presente che = vuol dire «variante», + vuol dire «lettera antica», ~ vuole dire «antica vocale nasale», mentre \ e / sono gli accenti (nelle lettere cirilliche stesse o nelle loro traslitterazioni tradizionali). Come in Beta, ` è inoltre il carattere di divisione; il suo uso può essere più frequente che nel greco: come abbiamo visto alcune lettere cirilliche sono indicate da una sequenza di caratteri, che in alcuni casi bisogna però spezzare (per esempio in bielorusso bisogna scrivere sempre sh`ch, perché la lettera щ non è usata).

Come inserire caratteri speciali IPA

Per inserire i caratteri dell’alfabeto dell’International Phonetic Association (IPA), scrivete la sequenza di caratteri nella codifica X-SAMPA, selezionatela e date il comando Ctrl+4. Fatto!

Una descrizione dettagliata della codifica X-SAMPA si trova all’indirizzo http://www.kneequickie.com/kq/X-SAMPA. Fermo restando che la corretta riproduzione dipende dall’uso di un font adatto, Po­test riconosce tutte le combinazioni, fatta eccezione (per ora) per quelle che indicano i toni come caratteri separati. Per i caratteri IPA di uso più frequente basta però ricordare che le lettere minuscole significano sé stesse, le maiuscole significano le più comuni varianti. Di seguito, in un ordine fonetico che titillerà gli esperti, tutte le lettere e combinazioni riconosciute (i toni sono mostrati sulla lettera e, i diacritici sulla lettera o):

p b t d ʈ ɖ c ɟ k g q ɢ ʔ m ɱ n ɳ ɲ ŋ ɴ ʙ r ʀ ɾ ɽ
p b t d t` d` c J\ k g q G\ ? m F n n` J N N\ B\ r R\ 4 r`

ɸ β f v θ ð s z ʃ ʒ ʂ ʐ ç ʝ x ɣ χ ʁ ħ ʕ h ɦ ɬ ɮ
p\ B f v T D s z S Z s` z` C j\ x G X R X\ ?\ h h\ K K\

ʋ ʋ ɹ ɻ j ɰ l ɭ ʎ ʍ w ɥ ʜ ʢ ʡ ɕ ʑ ɺ ɧ ɫ
P v\ r\ r\` j M\ l l` L W w H H\ <\ >\ s\ z\ l\ x\ 5

ʘ ǀ ! ǂ ǁ ɓ ɗ ʄ ɠ ʛ ʼ d͡z d͡ʒ d͡ʑ t͡s t͡ʃ t͡ɕ k͡p g͡b
O\ |\ !\ =\ |\|\ b_< d_< J\_< g_< G\_< _> d_z d_Z d_z\ t_s t_S t_s\ k_p g_b

i y ɨ ʉ ɯ u ɪ ʏ ʊ e ø ɘ ɵ ɤ o ə ɛ œ ɜ ɞ ʌ ɔ æ ɐ a ɶ ɑ ɒ
i y 1 } M u I Y U e 2 @\ 8 7 o @ E 9 3 3\ V O { 6 a & A Q

ˈ ˌ ː ˑ ˘ . | ‖ ‿ e̋ é ē è ȅ ě ě ê ê ↓ ↑ ↗ ↘
" % : :\ _X . | || -\ _T _H _M _L _B _R _/ _F _\ ! ^ <R> <F>

o̥ o̬ oʰ oʱ o̹ o̜ o̟ o̠ ö o̽ o̩ o̯ o˞o̤ o̰ o̼ oʷ oʲ oˠ oˤ o̪ o̺ o̻ õ oⁿ oˡ o̚ o̴ o̝ o̞ o̘ o̙
_0 _v _h (?) _O _c _+ _- _" _x = _^ ` _t _k _N _w _j _G _?\ _d _a _m ~ _n _l _} _e _r _o _A _q


Non è più facile usare la «mappa dei caratteri» del sistema operativo?

Dipende dai casi. Se si tratta di usare in maniera continuativa un alfabeto diverso o caratteri speciali, certamente no. Se si tratta di inserire occasionalmente un carattere, forse sì. Bisogna comunque tener conto che un moderno font Unicode può contenere anche migliaia di caratteri, e rovistare per trovare quello giusto (solo i caratteri latini sono distribuiti su sette tavole, in un ordine non facilmente decifrabile), distinguendo differenze grafiche a volte minuscole, pure per un solo carattere può essere più dispendioso che imparare una volta per tutte un sistema razionale di inserimento.


Per inserire caratteri nell’alfabeto X io uso già la funzione Y fornita dal sistema operativo / da un programma apposito. Ci sono buoni motivi per usare al suo posto la funzione di Po­test?

In generale no, il risultato è identico. Anzi, le funzioni già previste nel sistema operativo in generale permettono un inserimento più veloce. Tuttavia: 1. la funzione di Po­test può essere usata nello stesso modo in qualsiasi sistema operativo, 2. è più adatta per chi non è espertissimo nell’alfabeto da inserire, e 3. le funzioni previste nei sistemi operativi non sono in genere accessibili nelle configurazioni standard della tastiera: per poterle usare bisogna quindi prima penare un po’. Un solo avvertimento: se eravate abituati ad inserire i caratteri greci con un font non Unicode, bevete l’acqua del fiume Lete e dimenticate: quel metodo è obsoleto e pieno di controindicazioni.


Esistono comandi per la trasformazione inversa, per esempio da caratteri greci alla codifica Beta?

No (per ora). Quello presente in Po­test è un metodo per facilitare l’inserimento, non una traslitterazione: non avrebbe dunque molto senso una trasformazione inversa. Ricorda comunque che: 1. sùbito dopo la trasformazione, puoi tornare indietro con il solito comando Ctrl+Z (che annulla l’ultima modifica) 2. puoi modificare come vuoi il testo trasformato (anche cancellando solo alcune lettere, riscrivendole in Beta e ritrasformandole).


Che cosa succede se applico il comando Ctrl+[numero] ad un testo già trasformato?

In generale niente. Vale la regola: caratteri diversi da quelli previsti vengono lasciati intatti.


Perché la codifica del cirillico di Po­test si chiama Buky?

«Buky» (ovvero букы) è l’antico nome della seconda lettera nell’alfabeto cirillico, che corrisponde alla beta greca che dà il nome al Beta Code. Per di più «Buky» significa «lettera dell’alfabeto».


Devo scrivere una tesi sulla filosofia in Turkmenistan, e nella codifica Buky non trovo i caratteri addizionali usati nell’alfabeto cirillico turkmeno!

È vero: Buky si limita alle lingue slave. Puoi però sempre inserire i pochi caratteri mancanti con la «mappa dei caratteri» del sistema operativo.


Il comando Ctrl+1 non trasforma la sequenza .a/ in una a con un punto sotto e un accento acuto sopra. Perché?

Se una sequenza di per sé sensata non viene riconosciuta, è perché ad essa non corrisponde un «carattere precomposto» Unicode: e se esso non c’è vuole dire che non è comunemente usato in nessuna lingua. Su migliaia di combinazioni teoricamente possibili, quelle realmente usate sono infatti solo qualche centinaio. Con Unicode si possono tuttavia anche comporre caratteri a piacere, facendo seguire al carattere base apposite versioni dei diacritici. Questo metodo (che necessita anche l’uso di un font adeguato) non è però per ora supportato dalla codifica Bi.

Appendici

Le espressioni regolari

Le espressioni regolari sono un modo per effettuare una ricerca (ed eventualmente una sostituzione) usando apposite convenzioni, nelle quali i caratteri magici ^ $ . [ ] ? + * { } | ( ) \ hanno significati speciali (a meno che preceduti dal carattere \). La sintassi delle espressioni regolari è abbastanza complessa, ma nei casi più comuni sono poche le cose da ricordare. Prima di spiegare i dettagli, facciamo qualche esempio. Immaginiamo per esempio di avere mille righe bibliografiche in questo formato:

(1927) Martin Heidegger, Essere e Tempo, Niemeyer, Tübingen

e di doverle trasformare in questo formato:

Martin Heidegger, Essere e Tempo, Niemeyer, Tübingen 1927.

Con un’espressione regolare basta sostituire ^\((....)\) (.*) con \2 \1.. La prima espressione individua la struttura della riga: a partire dall’inizio della riga, una parentesi aperta, quattro caratteri, una parentesi chiusa, uno spazio, il resto della riga; le quattro cifre e il resto della riga vengono poste tra parentesi per essere «catturate» e riutilizzate nella sostituzione. Questa a sua volta specifica: la seconda espressione catturata, uno spazio, la prima espressione catturata, un punto. Altri due esempi. Immaginiamo di dover trasformare duemila virgolette alte in virgolette ad angolo; con le espressioni regolari basta fare una sostituzione globale di "(.+?)" con «\1». Immaginiamo di avere in un documento trecento indirizzi di posta elettronica che bisogna mettere tra angoli: basta una sostituzione globale di (\S+@\S+) con <\1>. Incuriositi da queste magie? Allora potete continuare a leggere questa appendice.

I caratteri magici che abbiamo prima citato, come si può intuire dagli esempi, svolgono varie funzioni: permettono di «ancorare» la ricerca (per esempio per cercare solo all’inizio o alla fine di riga), di indicare intere classi di caratteri (per esempio, qualsiasi cifra decimale), di specificare caratteri di controllo (per esempio quello di tabulazione), di indicare la ripetizione di un carattere o di una sequenza, di indicare l’alternativa tra più sequenze di caratteri. Insomma, mentre una ricerca normale troverà solo una determinata sequenza di caratteri, una ricerca con le espressioni regolari troverà tutte le sequenze che rispondono al modello specificato. Nella sostituzione ha un significato particolare il solo carattere \, che consente soprattutto di specificare quali porzioni della sequenza trovata devono essere riutilizzate. Esistono sintassi leggermente diverse per le espressioni regolari. Po­test segue quasi perfettamente la sintassi POSIX estesa, che qui riassumiamo brevemente.

Ora gli esempi fatti all’inizio dovrebbero essere chiari nei dettagli. Un’unica avvertenza: il motore delle espressioni regolari usato da Po­test è completo, affidabile e veloce. Well, nobody’s perfect: purtroppo non ha le idee chiare su che cosa siano i caratteri Unicode. Espressioni come [eèé] non fanno dunque ciò che si aspetta (e fanno disastri epici quando combinati con una sostituzione). Basta ricordarsene, e quando sono coinvolte lettere accentate o non latine trattarle come se fossero sequenze di più di un carattere: in pratica, in casi come il precedente basta usare espressioni equivalenti come (e|è|é), che invece funzionano perfettamente.

La funzione di calcolo

Le espressioni che possono essere calcolate con il tasto = coincidono con quelle usate nel linguaggio di programmazione Lua, con un’unica eccezione (e semplificazione): le funzioni matematiche devono essere scritte senza il prefisso math.. Spiegazioni complete si trovano nel manuale di Lua, nelle sezioni dedicate alle espressioni (http://www.lua.org/manual/5.3/manual.html#3.4) e alle funzioni matematiche (http://www.lua.org/manual/5.3/manual.html#6.7). Le convenzioni di Lua sono similissime a quelle dei più diffusi linguaggi di programmazione: se non le si conoscono, è una buona occasione per impararle. Ecco qualche rapida indicazione (che omette solo operatori di bit e operatori e funzioni di stringa, che ben difficilmente serviranno per una funzione di calcolo rapido).


Perché se evidenzio una parola e batto = la parola è sostituita con nil?

Una singola parola in genere viene interpretata come il nome di una variabile o una costante: ma se essa non è definita, il suo valore è, appunto, nulla.

Come si definiscono variabili da usare nei calcoli?

Risposta breve: non è possibile (per ora). Si possono però definire costanti nelle Preferenze.

Prossimamente…

Il sistema di scrittura Po­test è già efficiente per i normali scopi umanistici. Altre funzioni per renderlo ancora più completo e facile da usare sono però allo studio o in via di realizzazione. Eccole qui: